20 ottobre: Giornata Mondiale contro l’Osteoporosi

L’osteoporosi si può definire come un disordine delle ossa scheletriche caratterizzato dalla compromissione della robustezza dell’osso che predispone ad un aumento del rischio di frattura e questo ne è l’aspetto più importante soprattutto per l’alto numero dei casi colpiti nella popolazione adulta.

Il ruolo esatto dell’osteoporosi nell’etiologia delle fratture deve peraltro ancora essere determinato con precisione. Infatti la resistenza dell’osso ai traumi riflette l’integrazione tra due fattori: la densità ossea e la qualità ossea.

  • La densità ossea è espressa in grammi di minerale per area ed è determinata, in ogni individuo, dal picco di massa ossea raggiunto e dalla quantità di osso perso.
  • La qualità dell’osso fa riferimento complessivamente all’architettura, al turnover, alla somma dei danni sofferti e alla mineralizzazione.

E’ oggi ampiamente accettato che l’osteoporosi non è solo conseguente alla perdita ossea che accade con l’avanzare dell’età. Un individuo che non raggiunge un picco ottimale di massa ossea durante l’infanzia e l’adolescenza, può infatti sviluppare osteoporosi senza che vi sia una accelerata perdita ossea in età adulta. Nello sviluppo dell’osteoporosi una crescita ossea sub-ottimale nelle prime fasi della vita deve così essere considerata importante tanto quanto la perdita di massa ossea che si verifica in età adulta.

I range raccomandati di calcio e di esposizione al sole sono i seguenti:

osteoporosi

Durante la gravidanza, in particolare durante il terzo trimestre, occorre ulteriormente aumentare l’apporto di calcio (400 mg/die) in modo da assicurare al feto un rifornimento minerale di almeno 200 mg/die. Ciò corrisponde alle necessità della donna che allatta, confermando le notevoli analogie di fabbisogno tra la donna gravida e la nutrice.

Parola d’ordine: PREVENIRE

La prevenzione delle fratture associate all’osteoporosi è un obiettivo che, ove raggiunto, permette non solo di migliorare la qualità della vita delle singole persone ma anche alla riduzione drastica di costi sociali e di economia sanitaria. La prevenzione in questo ambito
può e deve essere orientata su due obiettivi diversi ma correlati:

  • prevenzione dell’osteoporosi,
  • prevenzione delle fratture in pazienti con osteoporosi.

Grazie alla migliore comprensione delle cause, alla facilità di accesso alla diagnosi ed alla possibilità di trattamento prima che si manifestino le fratture oggi è possibile una reale prevenzione dell’osteoporosi e delle complicanze ad essa associate. Va innanzitutto ribadito il fatto che la salute dell’osso è un processo che deve svilupparsi durante tutta la vita sia nei maschi che nelle femmine. Costruire un osso forte e sano durante l’infanzia e l’adolescenza può costituire la migliore difesa allo sviluppo di osteoporosi. I passi chiave che si dovrebbero perseguire a tutte le età per ottenere una valida prevenzione dell’osteoporosi possono essere così riassunti:

  1. seguire una dieta bilanciata ricca di calcio e vitamina D
  2. praticare esercizio fisico in relazione al peso corporeo
  3. seguire stili di vita sani (senza alcol nè fumo nè droghe)
  4. quando appropriato, eseguire esami per definire la densità; minerale ossea ed  eventualmente sottoporsi alle terapie del caso.

Fonte: http://www.salute.gov.it
Immagini: www.my-personaltrainer.it – www.girlpower.it – www.domusmedica.org

 

10 ottobre: Obesity Day

Nove italiani su dieci sbagliano dieta. E quelli che la sbagliano hanno un’alta probabilità di riprendere i chili perduti con l’interesse. «E’ provato che il dimagrimento legato a schemi errati equivale al recupero del peso iniziale con un aumento del 20%», afferma Giuseppe Faitati , presidente della Fondazione Adi, associazione italiana dietologi, coordinatore del progetto Obesity Day, la giornata di sensibilizzazione nazionale su sovrappeso e salute in programma il 10 ottobre.  Gli esperti dell’Adi si metteranno a disposizione, gratuitamente, in molti ospedali per consigli e informazioni. (clicca qui per conoscere i centri)

Diete iperproteiche (eccesso di consumo di proteine, come la carne, e povere di carboidrati, come pane e pasta), oppure basate sulla separazione di alimenti (ad esempio un giorno solo frutta, un secondo giorno solo proteine, un altro ancora proteine con verdura) o addirittura pseudo-vegetariane, con assenza di carne e formaggi. Sono gli sbagli più comuni codificati in programmi che assicurano risultati rapidi e la perdita di parecchi chilogrammi in un mese. Ma che nel 90% dei casi falliscono. Faitati ritrova in tutte queste situazioni un unico movente: «La ricerca del miracolo è deleteria. Chi ingrassa dopo un veloce dimagrimento riacquista le forme di partenza con l’interesse di una taglia in più. Quando ci si rende conto che i sacrifici non sono serviti subentra un senso di frustrazione. Mangiamo male e di più. E l’ago della bilancia va oltre».

I promotori di Obesity Day raccomandano: «E’ sostanzialmente inutile se non controproducente mettere all’indice una determinata categoria di prodotti. Non esistono alimenti buoni o cattivi ma solamente diete equilibrate o squilibrate. Non bisogna credere che singoli ingredienti o bevande possano essere nemiche della linea. I concetti da tenere a mente sono moderazione, equilibrio, attività fisica attraverso cui è possibile coniugare il piacere della tavola con le esigenze della salute». Ma perché una rapida perdita di peso determinata da una dieta erronea è destinata a non avere effetti duraturi? E’ legato alla perdita di massa magra, del muscolo: «Perdere massa magra – spiega Faitati – significa veder diminuire il bisogno energetico. A quel punto dovremmo introdurre una quantità minore di calorie. Se però non ci controlliamo il rischio è di avere pessime sorprese sulla bilancia».

I dati su sovrappeso e obesità sono allarmanti. Secondo l’Adi, 46 cittadini su 100 hanno problemi di taglia e non si vedono all’orizzonte segnali di miglioramento. Il problema è che tutte le strategie messe in campo non hanno inciso sui comportamenti e gli stili di vita. Poca attività fisica, eccessivo apporto di calorie, scarsa conoscenza dei più elementari principi sulla sana alimentazione.  Due persone su tre affermano di sapere tutto sul sano e corretto mangiare ma messi alla prova dimostrano di non conoscere l’abc.  Eppure il desiderio di un corpo tonico e paffuto al punto giusto costituisce un forte richiamo. Mediamente dai 25 anni in su le donne si cimentano almeno con una dieta all’anno, di solito prima della stagione estiva. Arrivano a 50 anni con 25 esperienze di dimagrimento. Lo stesso non vale per gli uomini che sopportano meglio l’ingombro della pancia e dunque sono meno stimolati a mantenere la forma.

Fonte: http://www.corriere.it/salute/ – http://www.obesityday.org/
Immagini: www.my-personaltrainer.it – medicinanaturale.pro – www.anoressia-bulimia.it – blog.ok-salute.it  – www.oxbridgebiotech.com

Stop alla dicitura “oli vegetali”: come cambierà l’etichetta degli alimenti?

Il 22 novembre 2011 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento n° 1169/2011 (che verrà adottato a partire dal 13 dicembre 2014) del Parlamento Europeo e del Consiglio che introduce alcuni cambiamenti in merito alla fornitura di informazioni sugli alimenti. Scopo del regolamento è garantire un elevato livello di protezione dei consumatori in materia di informazioni sugli alimenti.

Ecco le principali novità previste dalla nuova normativa comunitaria:

  • diventa obbligatorio indicare alcune informazioni nutrizionali fondamentali e di impatto sulla salute quali: il valore energetico e la quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale. Tali indicazioni dovranno essere indicate sull’imballaggio in una tabella comprensibile, insieme e nel medesimo campo visivo;
  • tutte le informazioni dovranno essere espresse per 100 g o per 100 ml e potranno, inoltre, essere espresse anche in porzioni;
  • Diventa obbligatorio indicare le origini per tutti gli alimenti che contengono oli o grassi di origine vegetale, qualunque sia la quantità di olio o grasso presente nell’alimento.
  • diventa obbligatorio indicare la presenza di allergeni anche per gli alimenti offerti in vendita al consumatore finale o alle collettività senza preimballaggio oppure imballati su richiesta del cliente o preimballati sul luogo di vendita (ad es. per gli alimenti offerti nei ristoranti, nelle mense, nelle bancarelle o per i preincarti venduti nei negozi);
  • è espresso il divieto di riportare sugli imballi indicazioni forvianti che inducano i consumatori in errore riguardo al prodotto: aspetto, descrizione e presentazione grafica saranno resi più comprensibili
  • per rendere le etichette più facilmente leggibili è stata fissata la dimensione minima delle diciture obbligatorie che dovranno avere caratteri tipografici minimi stabiliti. Se la superficie della confezione è inferiore a 10 cm2, l’etichetta potrà riportare solo le informazioni principali (denominazione di vendita, allergeni, peso netto, termine minimo di conservazione) disposte nella posizione più favorevole;
  • in merito alla data di scadenza, questa dovrà comparire su ogni singola porzione preconfezionata di prodotto;
  • sulla confezione dovrà essere indicata la data (giorno, mese e anno) di congelamento o di primo congelamento di carne non lavorata, preparazioni a base di carne e dei prodotti non trasformati a base di pesce congelato;
  • viene stabilito l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta di tutte le carni fresche, refrigerate o congelate di animali delle specie suina, ovina, caprina e di volatili. Dovrà essere indicata, se diversa, anche l’origine dell’ingrediente primario e di altri alimenti per cui saranno successivamente pubblicate relazioni esplicative;
  • è stato previsto che laddove un componente o un ingrediente che si presume sia presente nell’alimento sia stato sostituito con un diverso componente / ingrediente, deve essere riportata in etichetta una chiara indicazione del sostituto (ad es per i “simil-formaggi” prodotti con materie vegetali);
  • per i prodotti e le preparazioni a base di carne sotto forma di tagli, fette, porzioni, la denominazione dell’alimento deve comprendere l’indicazione della presenza di acqua aggiunta se quest’ultima rappresenta più del 5% del peso del prodotto finito;
  • i prodotti a base di carne ed i prodotti della pesca che, pur sembrando costituiti da un unico pezzo, sono frutto dell’unione di più parti di carni o di pesce dovranno essere identificati con le diciture: “carne ricomposta” e “pesce ricomposto”.

Eccezioni: le nuove direttive non saranno obbligatorie per bevande alcoliche, confezioni regalo, prodotti stagionali, alimenti non imballati per il consumo immediato e prodotti artigianali delle microimprese.

Una volta che la legislazione sarà adottata da Parlamento Europeo e Consiglio, l’industria alimentare avrà 3 anni per adattarsi alle nuove regole e 2 ulteriori anni, quindi 5 in totale, per rispettare i nuovi obblighi in materia di informazioni nutrizionali.

Per quanto riguarda invece l’obbligo di indicare l’origine in etichetta per altre categorie di prodotto come le carni trasformate in salumi o altro, ci saranno ancora 2 anni per omologarsi, mentre per il latte e derivati 3 anni.

In ragione della complessità di questo atto normativo, l’esecutivo comunitario ha ritenuto di provvedere alla redazione di un apposito documento di circa 25 pagine nella agevole forma editoriale “Domande e Risposte”. Un documento pronto all’uso e rivolto tanto agli operatori quanto ai controllori, e più in generale a tutti coloro che si occupano dell’informazione ai consumatori.

In realtà il documento riprende aspetti di filosofia “alimentarista” noti da tempo (leggibilità e chiarezza delle etichette intanto, non ingannevolezza, etc).

Ecco alcune “Domande e Risposte”:

Possibilità di anticipare uso del regolamento

Come visto, il Regolamento 1169 entrerà in vigore il 13 dicembre 2014. Una delle domande riguarda il fatto se sia possibile anticipare l’entrata in vigore delle disposizioni.  Etichettando di conseguenza i prodotti alimentari a norma delle nuove disposizioni. A tal proposito, il chiarimento della Commissione è importante: gli operatori alimentari possono etichettare i prodotti a norma del reg. 1169, ma a patto che non ci siano conflitti evidenti con la normativa tuttora in vigore, e cioè la direttiva 2000/13, che continua a essere applicata fino al 13 dicembre 2014.

Un esempio: in base alla direttiva 2000/13, la data di scadenza va posta nello stesso campo visivo della denominazione di vendita, quantità netta e volume alcolico. Sotto il Regolamento 1169 tale disposizione non è più valida (non serve unitarietà di campo visivo). Se quindi oggi gli operatori adottano la regola dell’1169, cadono in infrazione.

Sostituzione di immagini e simboli al posto delle istruzioni d’uso

Al punto 2.2.1, la domanda è se i produttori possano usare il simbolo del pane vicino ad un forno per indicare la cottura (istruzioni d’uso), senza le parole “pane” e “forno”.  La Commissione chiarisce che tale opzione non è contemplata, e i simboli o immagini devono risultare in aggiunta, non in sostituzione del testo. Ma- viene precisato- la Commissione può adottare in futuro atti delegati o di implementazione per consentire ad uno o più particolari di essere espressi in immagini o simboli al posto di parole o numeri.

Allergeni

Al punto 2.4, la domanda è se sostanze allergizzanti debbano essere messe in rilievo (es, latte in polvere). La Commissione chiarisce che la parte del nome adeguata va sottolineata (come da esempio) nel caso di più parole per definire un unico ingrediente, facendo svettare l’elemento allergizzante.

Al punto 2.4.3, si chiarisce come nel caso di alimenti confezionati con superficie di etichettatura massima di 10 cm quadrati, la lista degli ingredienti può essere omessa, ma non  la lista delle sostanze allergizzanti, da indicare sempre (che segue “Contiene:….”). Nel caso il nome di vendita del prodotto indichi di per sé la sostanza allergizzante, non è necessario indicare altrimenti gli allergeni. Inoltre si chiarisce che anche nel caso di alimenti non confezionati, vale sempre la regola di dare informazione sugli allergeni ai consumatori in modo attivo, senza aspettare loro richieste. Il principio di fornire indicazioni sugli allergeni “su richiesta” è così considerato inapplicabile dalla Commissione.

Nano materiali

Altro punto: i nano materiali vanno inclusi tra gli ingredienti con il nome dell’ingrediente preceduto da “nano”, al fine di dare una corretta informazione ai consumatori. Ma in caso di additivi, carry-over o sostanze con funzione tecnologica, non vanno indicati.

Nutrienti

Al punto 3.2 viene poi chiarito l’ordine preciso dei nutrienti in caso di dichiarazione nutrizionale obbligatoria: l’ordine da rispettare è energia, grassi, grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale.

Informazioni per il il consumatore

Al punto 3.4, un aspetto caldo del dibattito: se e come debbano essere consentiti schemi (anche su base nazionale) di informazione addizionale ai consumatori. La Commissione spiega la validità di tali schemi, purché non siano discriminatori, non impediscano la libera circolazione delle merci, siano stati adottati a seguito di un’ampia consultazione degli stakeholders, siano basati sulla scienza (anche circa comprensione dei consumatori) e abbiano a riferimento i valori nutrizionali di cui all’Allegato XIII del regolamento. E’ questo  un punto di assoluto interesse, in quanto la libera circolazione delle merci difficilmente potrà non essere impedita da misure nazionali anche “forti”, come ad esempio il sistema di semafori appena adottato nel Regno Unito.

Fonte: http://www.sicurezzaalimentare.it – http://www.tecnologiaeambiente.com – http://www.ilfattoalimentare.it
Immagini: trashfood.com –  greenme.it – eufic.com – ilfattoalimentare.it

Meat Free Monday

Quando la maggior parte di noi pensa alla cena, la carne fa sempre parte del menù, ma esistono tantissime alternative sane e deliziose che non contemplano l’uso di carne. Con un po’ di creatività si può diminuire il consumo di carne e pesce, aiutare l’ambiente e ridurre la fame nel mondo: inizia a farlo almeno un giorno alla settimana.

Fondato da Paul, Stella e Mary McCartney, Meat Free Monday è un movimento creato per incoraggiare le persone a mangiare meno carne. La campagna, lanciata nel 2009, è nata dopo che le Nazioni Unite hanno pubblicato una relazione in cui si affermava che l’allevamento di bestiame è responsabile del 18% delle emissioni di gas serra; più dell’intero settore dei trasporti di tutto il mondo.

La produzione di carne è responsabile del 18% di tutte le emissioni di gas serra causate dall’uomo; una sola mucca da latte emette 19,3 libbre/8,75 kg di metano all’anno. Se paragonato al settore dei trasporti, che rappresenta il 13% delle emissioni di gas serra di tutto il mondo, puoi iniziare a comprendere il significato di Meat Free Monday.

Secondo la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite (FAO), il settore dell’allevamento di bestiame è al secondo o al terzo posto nella classifica dei maggiori responsabili di uno dei più seri problemi ambientali, sia a su scala locale che globale.

Occorrono 10 galloni/38 litri di acqua per produrre 5,3 once/150 g. di patate; invece, per produrre un hamburger da 5,3 once/150 g. ne servono circa 6340 galloni/2400 litri.

In un mondo in cui quasi un miliardo di persone sono denutrite, un terzo di tutti i raccolti di cereali e più del 90 per cento della soia vengono trasformati in foraggio e destinati agli allevamenti di bestiame.

Ogni 18 secondi un ettaro della foresta amazzonica viene distrutto per fare posto agli allevamenti di bovini.

Nel mondo vengono allevati 60 miliardi di animali per la produzione della carne. La maggior parte trascorre tutta la vita in minuscoli recinti, senza potere fare quello che è naturale e importante per loro: per esempio distendersi, costruire un nido o nutrire i propri piccoli.

Se una famiglia media riducesse il consumo di carne della metà, questo avrebbe un impatto sulla riduzione di emissioni di CO2 maggiore di quanto accadrebbe se la stessa famiglia dimezzasse l’uso dell’automobile.

Nel prossimo decennio la maggior parte del pesce che mangeremo proverrà da allevamenti. Ogni forma di allevamento ha la sua impronta ambientale. Scegliendo il pesce da allevamenti e sistemi produttivi migliori, puoi giocare un ruolo importante nel ridurre gli impatti negativi dell’acquacoltura.

Fonte: http://www.stellamccartney.com

Immagini: www.gnclivewell.com.au – www.keepcalm-o-matic.co.uk – www.barillacfn.com

Ragazzi di campagna: dieta più sana

Secondo uno studio condotto in Scozia sugli scolari di 15 anni gli adolescenti provenienti da aree rurali hanno una dieta più sana di quelli che vivono nelle aree urbane.

E’ stato dimostrato che i ragazzi che vivono in remote zone rurali della Scozia mostravano la più alta frequenza di consumo di verdura (in media 6,68 giorni alla settimana) e la frequenza più bassa nel consumo di dolci e patatine (4.27 e 3.02 giorni alla settimana, rispettivamente).

Tuttavia, non era nelle principali quattro città della Scozia (Glasgow, Edimburgo, Dundee e Aberdeen), ma nelle zone descritte come “altre aree urbane” (città con abitanti da 10.000 e 125.000), che gli adolescenti mostravano la dieta più povera. Privazione e ruralità erano indipendentemente associati con il consumo di cibo in generale, ma non il consumo di frutta.

Inoltre, la condivisione di un pasto in famiglia, il comportamento alimentare, la scarsità di alimenti e l’abitudine di consumare la prima colazione, non erano differenti rispetto ai ragazzi delle aree rurali. Il livello d’istruzione scolastica è apparso come significativo per le frequenze di consumo di frutta e verdura e per il consumo irregolare della prima colazione, indipendentemente dalla “ruralità”.

Fonte: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23962450
Public Health Nutr. 2013 Aug 21:1-10. Urban-rural differences in adolescent eating behaviour: a multilevel cross-sectional study of 15-year-olds in Scotland. – obesita-it

Immagini: airc.it – ioemarc.blogspot.com –

A contatto con la natura: ecco tutti i benefici

A piedi nudi nel parco? Non serve. Basta una bella passeggiata tradizionale, con le sneakers o le scarpe con cui vi sentite più comodi. Tutto il resto viene da sé: il contatto con la natura che possono dare quattro passi in una villa o comunque nel verde ha una tale efficacia terapeutica da temere pochi rivali.

A sostenere che trascorrere del tempo in mezzo alla natura è necessario per il proprio benessere fisico e mentale è uno studio realizzato dai ricercatori statunitensi della University of Illinois, guidati da Frances “Ming” Kuo. Gli esperti americani hanno incrociato i dati di diversi studi realizzati negli ultimi anni in cui si cercava di capire se, effettivamente, la vita all’aria aperta e a contatto con la natura procurasse davvero benefici a corpo e mente. Il risultato? L’accesso agli ambienti naturali migliora le funzioni cognitive, l’autodisciplina e aiuta a controllare gli impulsi, contribuendo a una migliore salute mentale; al contrario, la non frequentazione di spazi verdi è legata a deficit di attenzione, a iperattività e a più alti tassi d´ansia e di depressione.

Ambienti circondati da alberi ed erba favoriscono inoltre il recupero fisico e psicologico post-operatorio, aiutano a mantenere elevati livelli di attività sportiva e migliorano il funzionamento del sistema immunitario; per contro, invece, gli ambienti meno “verdi” sono associati a maggiori tassi di obesità infantile, a percentuali più alte di malattie cardiovascolari e a più alta incidenza di mortalità.

E, come se non bastasse, in ambienti poco verdi si riscontrano tassi più elevati di aggressività e violenza, anche dopo l´aggiustamento dei risultati per reddito e altri fattori.

Fonte: staibene.it
Immagini: psichebenessere.it – trentoblog.it- agenda.filastrocche.it

I cibi che allungano la vita

Alimentazione e salute vanno di pari passo. Oggi sappiamo con certezza, grazie ai numerosi studi scientifici pubblicati sull’argomento, che esiste una precisa relazione tra dieta e l’insorgenza di malattie croniche come obesità, diabete, malattie cardiovascolari e cancro.

All’origine dello sviluppo di un tumore possiamo individuare fondamentalmente due cause, una genetica ed una ambientale. Mentre sulla prima non è possibile agire in chiave di prevenzione, la seconda è invece un fattore importantissimo sul quale puntare al massimo. Sicuramente la componente nutrizionale ha un impatto molto forte. «Esistono evidenze convincenti che essere obesi, ovvero con un indice di massa corporea superiore a 30, aumenta in maniera significativa il rischio di ammalarsi di molti tipi di cancro. Non solo, nello scorso aprile è stato confermato che il consumo di più di 500 grammi di carni rosse (agnello, manzo e maiale) alla settimana rappresenta un fattore di rischio nello sviluppo del tumore al colon-retto» spiega Lucilla Titta, ricercatrice nutrizionale presso il campus IFOM-IEO di Milano e vincitrice di una borsa di ricerca finanziata dalla Fondazione Umberto Veronesi.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata da quei cibi che prevengono il cancro. E’ infatti confermato che un consumo di più di 400 grammi di frutta e verdura al giorno protegge dal cancro alla bocca, faringe, laringe e stomaco e che il consumo di fibra alimentare, rigorosamente da alimenti di origine vegetali come verdura, frutta, cereali integrali e legumi, protegge in maniera significativa dall’incidenza del cancro al colon-retto. «Indicazioni che però sono ancora poco recepite, poiché scarsamente conosciute, dalla maggior parte della popolazione. In Italia infatti più del 30% dei bambini è sovrappeso e quasi il 25% non mangia frutta e verdura quotidianamente» conclude la dottoressa Titta.

Ma la novità più importante e promettente e quella che vede la capacità di alcuni alimenti di “allungare” la vita. E’ ormai noto che un regime di ristrettezza calorica sia correlato ad una minor incidenza di tumori. Detto ciò è impensabile per gli uomini sottoporsi ad un regime calorico ridotto del 30% come fattore di prevenzione. Ma la novità straordinaria è che paradossalmente alcuni cibi di origine vegetale, come fragole ed uva, potrebbero mimare l’effetto della restrizione calorica.

«In diversi studi abbiamo individuato delle molecole, come la rapamicina, in grado di modulare l’espressione di alcuni geni implicati nei processi di invecchiamento. Quei geni sono gli stessi che vengono regolati in caso di ristrettezze caloriche. Nei modelli animali utilizzati sperimentalmente si è visto che queste molecole sono state capaci di allungare l’aspettativa di vita media» spiega Pier Giuseppe Pelicci, responsabile del gruppo di ricerca sui meccanismi molecolari implicati nel cancro e nell’invecchiamento presso il campus IFOM-IEO di Milano. L’obiettivo ora è quello di classificare tutti quegli alimenti che possiedono queste caratteristiche. Non solo, una volta catalogati è possibile pensare un giorno di poterne sfruttare le caratteristiche anche attraverso lo sviluppo di farmaci a base di queste molecole.

Fonte: Fondazione Umberto Veronesi fondazioneveronesi.it
Immagini: Smart Food IEO – greenme.it – spazioasperger.it

Informazioni nutrizionali: scelte più salutari con dati sull’attività fisica

Includendo nelle etichette alimentari informazioni relative ai livelli di attività fisica richiesti per smaltire le calorie introdotte sarebbe possibile guidare il pubblico in scelte alimentari più coscienziose. Di questo sono convinti i ricercatori americani dell’University of North Carolina at Chapel Hill, i quali hanno potuto dimostrare in un recente studio pubblicato sulla rivista Appetite l’efficacia di questa strategia.

In breve, il team di medici ha assegnato casualmente un gruppo dei partecipanti al consumo di menu fast-food che differivano unicamente nel tipo di etichetta: priva di informazioni nutrizionali, contenente solo informazioni sul contenuto calorico, contenente informazioni sulle calorie e sui minuti di passeggio richiesti per bruciare tali calorie oppure contenente informazioni sul contenuto in calorie e la distanza da coprire passeggiando per consumare le calorie introdotte.

Ebbene, gli autori hanno potuto riscontrare che il tipo di etichetta influenzava l’assunzione di calorie tra i partecipanti: in assenza di informazioni, il consumo di calorie raggiungeva mediamente 1002, mentre nel caso delle informazioni dettagliate sui livelli di attività fisica richiesti per smaltirle l’assunzione calorica era pari a 826, una differenza importante. Quest’ultimo tipo di etichetta risultava infatti più efficace nel guidare scelte alimentari ipocaloriche.

I ricercatori hanno infine potuto riscontrare una preferenza da parte dei partecipanti per questo tipo di etichetta alimentare rispetto a quelle contenenti solo informazioni nutrizionali. Sarà questo vero anche nella realtà quotidiana oltre che nella situazione sperimentale? Decisamente varrebbe la pena provare.

Fonte: Dowray S, Swartz JJ, Braxton D et al. Potential effect of physical activity based menu labels on the calorie content of selected fast food meals. Appetite. 2013 – obesita.it Immagini: athlonsport.it – giorgiopasetto.it

Più ottimisti con i trigliceridi in regola

Questa è la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’ Harvard School of Public Health di Boston. Lo studio, pubblicato sulla rivista American Journal of Cardiology ha infatti rilevato un’associazione decisamente significativa tra i livelli nel sangue di colesterolo totale, colesterolo LDL (“cattivo), colesterolo HDL (“buono”) e trigliceridi e lo stato di benessere psicologico, almeno negli individui di mezza età.

Tra gli oltre 900 partecipanti di età media 55 anni, coloro che presentavano valori più elevati di colesterolo HDL e più bassi di trigliceridi riportavano più frequentemente anche una condizione di ottimismo. L’associazione inversa veniva rilevata tra coloro che presentavano, invece, un profilo biochimico meno salutare.

In particolare, la correlazione inversa era significativa tra trigliceridemia e ottimismo.

A detta dei ricercatori, questi risultati sarebbero una conseguenza dell’adozione di comportamenti salutari capaci di promuovere uno stato psicologico positivo e, in generale, di una migliore condizione corporea.

Fonte: Boehm JK, Williams DR, Rimm EB et al. Relation between optimism and lipids in midlife. Am J Cardiol. 2013 May 15;111(10):1425-31
obesita.it
Immagini: baldoalberti.it – blog.clickfarma.it – trend-online.com